Biodinamica e lotta al cancro: il futuro è incominciato.
La prima parte del mio articolo dedicato alla Biodinamica e ai suoi riflessi, dalla Agricoltura alla Salute umana, si concludeva con un appuntamento a questo numero della Rivista, in cui volevo passare in rassegna gli straordinari successi dell’impiego agricolo di derivati enzimatici biodinamici: appuntamento rimandato di un mese, alla luce della pubblicazione su una testata scientifica internazionale (International Journal of Clinical and Experimental Medicine) di una ricerca italo-russa in Oncologia che ha tutte le caratteristiche non di un sasso ma di un macigno lanciato nello stagno delle convinzioni circa la possibilità di intervenire sui fattori di terreno che alimentano la patologia tumorale.
Micronutrienti multipli utilizzati nella perfusione di espianti di fegato umano invaso da epatocarcinoma (HCC) riducono la proliferazione di cellule tumorali attraverso inibizione dello stress ossidativo Lasciamo la parola ad uno degli Autori di questa ricerca, il Prof. Simone Beninati, dell’Università romana di Tor Vergata: – “Nel nostro laboratorio, abbiamo utilizzato colture di organi da espianto invasi da tumori maligni per determinare le possibilità di azione diretta degli agenti antineoplastici, in un ambiente mobile, caratterizzato da vari tipi di cellule e tessuti di un organo per studiare l’azione antineoplastica in vivo, di un integratore alimentare biodinamico (Citozym) che ha messo in evidenza una potenziale azione protettiva: abbiamo potuto sperimentare che la soluzione di Citozym è altamente antiossidante e ricca di elementi essenziali per il metabolismo della cellula ed è in grado di proteggere il fegato, riducendo fortemente lo stress ossidativo durante la perfusione. Lo stato funzionale e la vitalità cellulare possono essere controllati attraverso la valutazione dei livelli di lattato deidroge-nasi (LDH), coinvolta nel metabolismo del tumore, anaerobico (glicolitico) invece che aerobico (mitocondriale) anche in condizio-ni di ossigeno sufficienti: meccanismo che permette alle cellule tumorali di convertire la maggior parte della loro disponibilità di glucosio in lattato a prescindere dalla disponibilità di ossigeno, spostando l’utilizzo dei metaboliti del glucosio dalla normale produzione di energia per la promozione della crescita delle cellule ed aumentata replicazione. Per questo motivo, l’inibizione dell’attività dell’LDH è un criterio importante per testare l’efficacia di trattamenti contro il cancro”.
E qual era lo scopo dello studio, Professore?
“Lo scopo della nostra ricerca era quello di effettuare studi su organi interi, quindi espianti di fegato interi in perfusione per testare l’eventuale miglioramento derivante dal potenziale antineoplastico di Citozym utilizzato per diversi giorni”.
Organi di animali da esperimento?
“In studi precedenti sì, dai risultati talmente promettenti da incoraggiare ricerche su organi umani: quattro fegati di pazienti donatori con un’età media di 59 anni, affetti da epatocarcinoma in stadio avanzato, sono stati espiantati dopo la morte dei pazienti e messi in coltura d’organo, due fegati furono messi in perfusione con il 15% di Citozym e due furono perfusi con lo stesso medium colturale senza Citozym, sostituito dal 15% di saccarosio. Il rilascio di lattato deidrogenasi (LDH) dal fegato nel mezzo, è stato considerato come marker di danno cellulare e furono anche condotte analisi istopatologiche e im-munoistochimiche. I risultati sono a dir poco sorprendenti: abbiamo rilevato una riduzione del 50% del volume totale delle masse tumorali nei fegati in perfusione, mentre i livelli di LDH, rilasciati nel mezzo di perfusione, sono aumentati, evidenziando vitalità di espianti di fegato, ribadisco, provenienti da pazienti deceduti. Non solo: sappiamo che i radicali liberi dell’ossigeno (ROS) svolgono un importante ruolo nel cancro, tanto che il loro accumulo eccessivo lo può promuovere: bene, i nostri risultati indicano che Citozym sopprime la produzione di ROS, il che aiuta a chiarire il meccanismo di base dell’effetto antineoplastico che abbiamo osservato”.
Risultati indiscutibili ed inoppugnabili, tali da costringere anche i più scettici a cedere all’evidenza: Citozym contiene molteplici fattori attivi essendo il capostipite di una nuova classe di integratori biodinamici il cui meccanismo d’azione va al di là dei modelli classici con cui siamo, semplicisticamente, abituati a ragionare (memorie steriche conformazionali di substrati, in grado di riattivare enzimi strutturalmente e funzionalmente compromessi). Citozym si è dimostrato utile nel ridurre i sintomi di di-verse malattie, come cirrosi epatica, steatosi e iperplasia prostatica benigna. In Oncologia una possibile interpretazione dell’efficacia di Citozym transita attraverso il ruolo dello stress ossidativo al punto che l’effetto di terapie antitumorali può essere condizionato dalle componenti antiossidanti presenti nel nostro corpo, endogeni o apportati tramite supplementi nutrizionali. Sebbene le cellule possiedano una grande repertorio di enzimi e antiossidanti, talvolta questi agenti sono insufficienti per normaliz-zare lo stato redox prodotto da uno stress ossidativo intenso. In questi casi i supplementi antiossidanti esogeni possono essere necessari per ripristinare l’omeostasi ossidoriduttiva cellulare. Recentemente è stato riportato che Citozym protegge topi da melanomi sperimentali in quanto i vari componenti di Citozym possono agire sinergicamente, amplificando gli antiossidanti e l’attività antineoplastica di molecole come l’acido piruvico e le Vitamine C, D3, B5 e B9 complesso (acido folico). L’indubbia efficacia antineoplastica di Citozym ha però con ogni probabilità anche altre basi, ricercabili nella normalizzazione del terreno dove un tumore può partire e proliferare.
L’INSEGNAMENTODI OTTO HEINRICH WARBURG
E’ possibile intervenire metabolicamente nei pazienti affetti da tumori?
Patologie oncologiche possono colpire tutti i tessuti ed organi dell’uomo ed è sconfortante osservare, a contraltare degli indubbi successi della Chirurgia, che nonostante ricerche ormai secolari, in tutto il mondo, manchi ancora una visione unitaria di una patologia dai mille volti. La lista delle definizioni si allunga a dismisura e l’unico aspetto unificante resta il “fumus” di “brutto male” che circonda i tumori nell’immaginario collettivo, cui corrisponde nel linguaggio di molti giornali il concetto di “male incurabile”, con cui sovente si liquida la storia di personaggi famosi nei necrologi. L’analogia con la lotta alle infezioni batteriche, vinta (apparentemente) con l’avvento degli antibiotici, ha aperto la strada a ricerche di farmaci in grado di agire selettivamente sulle cellule “impazzite” del cancro, ma sappiamo ormai benissimo come questa selettività di fatto non esista e probabilmente non possa esistere: è arrivato il momento di cambiare registro. In realtà un elemento unificante c’è, e lo aveva capito Warburg fin dagli anni ’30 del secolo scorso: i tessuti tumorali non utilizzano ossigeno ed il loro metabolismo è conseguentemente limitato, nella produzione di energia, alla sola glicolisi. Premio Nobel per la Medicina nel 1931, Otto Heinrich Warburg nel 1966 tenne un’affollatissima lezione magistrale a Lindau, dal titolo emblematico: “La prima causa e la prevenzione del cancro”. Egli aveva infatti osservato che nelle cellule tumorali non si verifica il cosiddetto “Effetto Pasteur” (rallentamento della glicolisi in presenza di una adeguata disponibilità di ossigeno), come se i tessuti tumorali avessero “disimparato” ad utilizzare catena respiratoria mitocondriale e Ciclo di Krebs, per la produzione di ATP. Oggi la Ricerca italiana sulla possibilità di stimolare gli enzimi mitocondriali sta dando ragione alle intuizioni del grande scienziato tedesco.[…]